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1. L'usura quale reato artificiale - 2. La riforma del 1996 e il suo impatto sul bene giuridico tutelato: l'usura da fenomeno socio-criminale a white-collar crime - 3. La specificità dell'usura bancaria - 4. Il ruolo della Banca d'Italia - 5. La funzione di supplenza del diritto penale - 6. Breve rassegna delle principali novità giurisprudenziali - 7. Usura, riciclaggio, autoriciclaggio e profili di responsabilità ex D. Lgs. n. 231/2001 e s.m.i. - Note
Il reato di usura è profondamente mutato dall’epoca della sua prima introduzione nel titolo XIII del Codice Rocco tra i delitti contro il patrimonio. In particolare, dapprima con gli interventi correttivi del 1992 [1] e poi segnatamente con la riforma del 1996 [2] la fattispecie ha subito una vera e propria modificazione genetica, tale da incidere sull’assetto dei beni giuridici tutelati e da diversamente tipizzare il soggetto attivo del reato. La disciplina “instabile” del delitto di usura induce preferibilmente ad ascriverlo alla categoria dei reati c.d. “artificiali” o “convenzionali”, piuttosto che a quella dei reati c.d. “naturali”. È noto che la categoria dei reati naturali – mala in se – ricomprende gli illeciti caratterizzati da un disvalore intrinseco, la cui esistenza prescinde da divieti legislativi in quanto la coscienza sociale li ha interiorizzati, avvertendoli da sempre come riprovevoli e meritevoli di sanzione. Per contro, i reati artificiali – mala quia vetita – concernono fatti che non possono dirsi connotati da un disvalore assoluto. In linea di prima approssimazione, la distinzione tra le due categorie viene fondata tradizionalmente [3]: – in epoca più risalente, su concezioni giusnaturalistiche o razionalistiche (se vi sono diritti naturali devono esistere correlativamente delitti naturali, cioè forme di aggressione che attingono i diritti che l’uomo da sempre sente come irrinunciabili e non violabili: la vita, l’integrità fisica, ma anche – nel campo dei diritti patrimoniali – la proprietà); – sulla rilevazione delle costanti e delle variabili storiche della criminalità (alcuni fatti, nel tempo e nello spazio, sono sempre stati considerati come delitti, poiché ledono o mettono in pericolo beni esistenziali ovvero le basi “naturali” della società e del vivere civile (costanti); altri fatti, invece, possono essere considerati o meno delitti a seconda delle connotazioni politiche, economiche, religiose e culturali di un determinata società nelle diverse epoche (variabili); – sulla scorta delle c.d. Kulturnormen, ovvero di norme morali e sociali che la coscienza comune ha fatto proprie, interiorizzandole, prima ancora del loro recepimento in un precetto penale ed a [continua ..]
L’attuale disciplina penalistica della fattispecie di usura trae origine dalla riforma, per certi versi epocale, voluta dal Legislatore nel 1996. Il Codice Rocco, nel delineare la fattispecie di usura, aveva normativamente accolto la più classica delle figure di usura, con la conseguenza di orientare la volontà punitiva verso l’usuraio inteso quale persona socialmente nociva. Nel vigore della precedente disciplina tale impostazione aveva trovato espressa conferma nell’elaborazione giurisprudenziale della S.C. di Cassazione: “nel delitto di usura, lo stato di bisogno, previsto dall’art. 644 c.p., può essere di qualsiasi natura, specie e grado, purché tale da togliere e limitare la libertà di scelta del soggetto passivo. infatti, la norma sopra indicata persegue la finalità di punire l’usuraio quale persona socialmente nociva che non cessa di essere tale, quale che sia la natura o la causa del bisogno del creditore” [11]. Un primo passo verso una diversa concezione di usura si ha soltanto con il D.L. 8 giugno 1992, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356 [12], che interessa qui non tanto per l’introduzione della fattispecie di usura impropria di cui all’art. 644-bis c.p., poi abrogata a seguito dell’intervento riformatore del 1996, quanto piuttosto per la previsione di un’aggravante speciale per i delitti di usura e di mediazione usuraria nel caso in cui i fatti siano commessi nell’esercizio di una attività professionale o di intermediazione finanziaria [13]. Si tratta di una importante tappa di avvicinamento verso la nuova formulazione del reato di usura: per la prima volta viene presa in considerazione la figura dell’usura “professionale”, con riconoscimento in proiezione punitiva del maggiore disvalore di alcune insidiose condotte usurarie, cioè quelle poste in essere da soggetti attivi che non operano in contesti illeciti, bensì sono dediti istituzionalmente alla erogazione di finanziamenti ovvero in genere all’esercizio del credito. Tuttavia, la fattispecie viene riscritta soltanto con la riforma recata dalla L. 7.3.1996 n. 108, con la quale al contempo è stata tratteggiata una figura di usuraio del tutto nuova. La norma diviene così funzionale all’esigenza, avvertita dal Legislatore, di criminalizzare (altresì) le forme di usura [continua ..]
L’usura c.d. bancaria non è configurabile quale fattispecie autonoma di reato. L’esordio della norma di cui all’art. 644 c.p. (“Chiunque”) introduce un reato comune e dunque niente affatto esclusivo dell’operatore bancario o dell’intermediario finanziario. È tuttavia innegabile che a seguito della riforma del 1996 e della elaborazione giurisprudenziale che ne è seguita l’usura c.d. bancaria risulta contraddistinta da alcune obiettive specificità di disciplina ed anche da una fenomenologia fortemente caratterizzata, tali da differenziarla rispetto alle ipotesi di usura collegate a contesti criminali. La disciplina antiusura introdotta nel 1996, innanzitutto, ha esplicitamente preso di mira la realtà bancaria: come si è detto, attraverso l’introduzione del tasso-soglia e l’abbandono della struttura (solo) soggettiva che connotava la fattispecie previgente, il Legislatore ha assegnato all’usura c.d. presunta la funzione di presidio della corretta regolamentazione del credito ex art. 47 Cost. La previsione di una circostanze aggravante ad effetto speciale ex art. 644, co. 5, n. 1) c.p. per definizione sempre riferibile all’usura c.d. bancaria – “se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare” – ne accentua ulteriormente la specificità di disciplina. Peraltro, anche le altre aggravanti ad effetto speciale di cui all’art. 644, co. 5, nn. 2), 3) e 4) [28] appaiono tipicamente riferibili all’attività bancaria e almeno due di esse – la richiesta di garanzie e la erogazione del credito a soggetti imprenditoriali – sono destinate a ricorrere con particolare frequenza nelle operazioni di finanziamento realizzate in ambito bancario o dell’intermediazione creditizia. L’usura c.d. bancaria è quindi inesorabilmente sempre aggravata e spesso pluriaggravata, con conseguenti significative ricadute in pejus sul piano del trattamento sanzionatorio. In conclusione, sembrano potersi rintracciare alcuni tratti distintivi nella disciplina precettiva e sanzionatoria dell’usura c.d. bancaria tali da differenziarla rispetto alla fattispecie “classica” [29].
La Banca d’Italia è indubbiamente uno dei principali attori del sistema antiusura apprestato dal Legislatore con la riforma del 1996. Il ruolo centrale assunto dalla Banca d’Italia deriva non soltanto dalla sua natura di organo pubblico, dai compiti e dalle attribuzioni alla stessa devolute e dalle rilevanti funzioni pubblicistiche che è chiamata istituzionalmente ad assolvere, ma – come è noto – da specifiche disposizioni legislative. Nella fattispecie di cui all’art. 644 c.p. ed in particolare in quella di usura c.d. presunta, così come strutturata dal Legislatore del 1996, la determinazione del precetto penale – quanto all’individuazione del tasso-soglia – avviene attraverso il riferimento ad una fonte normativa secondaria, il D.M. trimestrale del MEF, che a propria volta costituisce il risultato di una procedura amministrativa complessa. Nell’ambito di tale procedura amministrativa la Banca d’Italia assolve ad una funzione preminente [30], sia nella fase di rilevazione del TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio) – e dunque del tasso-soglia che dallo stesso direttamente deriva [31] – sia in sede di classificazione delle operazioni creditizie per categorie omogenee [32], tanto che, si è detto, laddove per qualunque ragione tale procedura amministrativa non dovesse essere portata a termine attraverso la pubblicazione trimestrale del TEGM per classi di operazioni ad opera del D.M. del MEF, il reato di usura risulterebbe non punibile nel trimestre di riferimento per carenza di un elemento oggettivo di fattispecie, strutturata quale norma penale parzialmente in bianco [33]. La sezione II della S.C. di Cassazione, dal 2010 innanzi, con pronunce che per la loro portata possono definirsi storiche, è tuttavia reiteratamente intervenuta per circoscrivere la funzione integratrice affidata ai DD.MM., a propria volta calibrati sulle istruzioni e circolari della Banca d’Italia [34]. La questione, come è noto, si è posta precipuamente con riferimento al tema della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), atteso che la formula adottata dalla Banca d’Italia distingueva gli interessi da applicare al credito erogato dalle commissioni, oneri e spese, in contrasto con la inequivoca previsione legislativa contenuta nell’art. 644, co. 4, c.p., secondo cui “per la determinazione del tasso di [continua ..]
I reiterati interventi correttivi della S.C. di Cassazione rispetto alla valenza delle circolari e istruzioni della Banca d’Italia sottolineano il ruolo di supplenza assunto dal diritto penale nella materia in oggetto. Il diritto penale è notoriamente extrema ratio e non – invece – il rimedio prevalente cui fare ricorso in funzione suppletiva quale modalità per una più incisiva regolamentazione giuridica delle realtà economiche. Ciò nondimeno, il diritto penale sta progressivamente assumendo un ruolo centrale e spesso pervasivo nell’ambito del diritto dell’economia e soprattutto nel sotto-sistema del diritto penale bancario [37]. Si tratta di una evidente anomalia, ancorché in qualche modo giustificata dagli eventi. Il sistema bancario italiano ha indubbiamente dimostrato tutta la propria fragilità, dallo scandalo del Banco Ambrosiano (1982), passando attraverso la crisi delle Casse di Risparmio Meridionali e del Banco di Napoli (1995) ed a quella di MPS (2008), per arrivare sino ai giorni nostri (2015) con gli scandali legati alle banche del territorio (Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Carichieti) e di numerose banche di credito cooperativo. Non sono mancati, insomma, episodi di reiterata mala gestio, di indebita ingerenza politica, di conflitti di interesse, di concentrazione del potere nelle mani di pochi, di operazioni avventate o incoerenti o di collocamento di strumenti ad elevato rischio, senza adeguata informazione o con informazione distorta al consumatore, fino ai noti casi delle obbligazioni e azioni bancarie tossiche [38]. Tali episodi hanno dimostrato l’insufficienza del reticolo di controllo – costituito da amministratori operativi, amministratori senza deleghe, comitato di gestione, consiglio di sorveglianza, membri del collegio sindacale, revisori contabili, per arrivare alle Autorità di vigilanza e dunque, nell’ambito del diritto interno, alla Banca d’Italia – posto a presidio dei profili di correttezza e legalità dell’attività bancaria. Ciò ha certamente indotto un intervento penale diffuso, così da pervenire per altra via all’affermazione di un “minimo etico” nell’attività bancaria e dell’intermediazione creditizia [39], allorquando i suoi attori e gli organi di controllo hanno [continua ..]
6.1. Elemento soggettivo Come si è visto, il passaggio dall’originaria impostazione adottata dal Codice Rocco a quella attuale è contrassegnato, tra il resto, dall’espunzione dall’oggetto del dolo del consapevole approfittamento della situazione di bisogno della persona offesa. In particolare, nell’usura c.d. presunta – fattispecie tipica (ancorché come detto non esclusiva) in materia di usura bancaria – il profilo soggettivo del reato è integrato dalla coscienza e volontà di farsi dare o promettere interessi superiori al limite legale quale corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità. Il dolo non è più necessariamente “diretto”, sicché va posta la questione della configurabilità o meno del dolo “indiretto” o “eventuale”. La giurisprudenza di legittimità non ha mai affrontato direttamente il tema [41] sino ad una recentissima pronuncia – per il vero laconica sul piano motivazionale – in cui la S.C. di Cassazione giunge esplicitamente ad escludere la configurabilità del dolo eventuale nella fattispecie di usura: “Il reato dì usura è punibile solo a titolo di dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari; infatti, il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all’azione dell’agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell’attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l’attingimento dell’unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile” [42]. Si dubita tuttavia che tale precedente possa costituire un approdo definitivo sul punto e prima di trarre ferme conclusioni occorrerà prudentemente attendere i prossimi sviluppi giurisprudenziali, onde verificare se siffatto orientamento troverà o meno conferma [43], anche alla luce degli insegnamenti della sentenza SS.UU. c.d. ThyssenKrupp, fondamentale in tema di dolo eventuale [44]. In attesa di ulteriori approfondimenti, mantengono attualità i principi stabiliti sin qui dalla giurisprudenza di legittimità in materia di usura c.d. bancaria con particolare [continua ..]
Gli artt. 648-bis (“Riciclaggio”) [56] e 648-ter 1 (“Autoriciclaggio”) [57] c.p. disciplinano fattispecie contigue che notoriamente hanno quale matrice comune la provenienza da delitto non colposo di denaro, beni o altre utilità, presupposto sul quale si innestano le condotte rispettivamente punite dalle due norme incriminatrici. La fattispecie di riciclaggio punisce l’agente che è rimasto estraneo al reato che ha generato l’utilità che si ricicla; quella di autoriciclaggio appresta sanzione nei confronti del soggetto che, avendo commesso o concorso a commettere il reato presupposto, ricicla l’utilità che gliene è derivata. Si deve convenire sul fatto che la previa commissione del delitto di usura può costituire il presupposto per l’operatività delle fattispecie in esame e non mancano del resto precedenti giurisprudenziali di legittimità in tal senso [58], anche se – va detto – non con riferimento ad ipotesi di usura c.d. bancaria. Si noti che per i delitti di riciclaggio e autoriciclaggio è prevista un’aggravante specifica quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale ed è quindi lo stesso Legislatore a ritenere gli esponenti e i funzionari degli istituti di credito e delle società di intermediazione esposti a tali profili di incriminazione. D’altronde, l’usura è un delitto non colposo, punito tra il resto con pene severe che escludono la ravvisabilità delle ipotesi “attenuate” di riciclaggio e autoriciclaggio, di cui rispettivamente agli artt. 648-bis, co. 3 e 648-ter, 1, co. 6 c.p.; è, poi, un reato che determina normalmente (sempre nell’usura con dazione) un profitto illecito; infine, il profitto illecito da usura, una volta immesso nel circuito bancario, è destinato ad essere impiegato, sostituito o trasferito in attività economiche, finanziarie o speculative [59]. Pertanto in astratto le fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio appaiono suscettibili di innesto su previ fatti di usura c.d. “bancaria” e la circostanza della normale tracciabilità delle operazioni bancarie non sempre è stata ritenuta di per se stessa sufficiente ad escludere [continua ..]