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1. Inquadramento generale - 2. L'istituto dell’intestazione fiduciaria e l’attività svolta dalla fiduciaria: cenni - 3. Il mandato fiduciario e la lettura dell'Agenzia delle Entrate - 4. Tra fiducia "germanistica" e fiducia "romanistica": spunti di riflessione in ambito tributario - 5. La segretezza e la trasparenza: punti di attenzione per l'utilizzo dell'intestazione fiduciaria - 6. Conclusioni - NOTE
Il tema della “gestione (rectius tutela) del patrimonio” – nel più ampio significato e sotto i diversi profili – interessa con maggior frequenza la pratica professionale del consulente (anche) tributario il quale sempre più spesso viene coinvolto nei processi di riorganizzazione e di protezione del patrimonio familiare. Tale fenomeno trova ragione: 1. nella maggiore complessità dell’andamento dell’economia e nella conseguente percezione del crescente rischio che il patrimonio familiare possa esserne compromesso e quindi in una maggiore attenzione da parte delle famiglie alla gestione del patrimonio familiare stesso; 2. nella sempre più dinamica articolazione dei rapporti familiari che comporta l’esigenza di ricercare soluzioni giuridiche tecnicamente solide. L’analisi del professionista dovrà tenere conto non solo del rischio dal quale ci si vuole tutelare ma anche – e in particolare – di quale sia la finalità che il Cliente vuole perseguire. Proprio il manifestarsi dei due differenti aspetti di cui sopra, il primo esogeno alla famiglia e il secondo “interno” alla stessa, ha indotto i professionisti ad individuare nel tempo alcuni istituti e strumenti (per esempio: patto di famiglia; holding di famiglia; fondo patrimoniale; trust), tra quelli messi a disposizione del legislatore, per la pianificazione della gestione dei patrimoni familiari in ottica conservativa, produttiva e di trasmissione alle generazioni future per evitare, per quanto possibile, i rischi connessi ad eventi incontrollabili. L’intestazione fiduciaria è annoverabile tra gli istituti a cui, nella prassi professionale, si fa ricorso in abbinamento ad altri strumenti più o meno complessi. Di seguito verranno esaminati alcuni aspetti peculiari.
Occorre, innanzitutto, sottolineare che l’istituto dell’intestazione fiduciaria, da un punto di vista civilistico, si qualifica come uno strumento di tutela patrimoniale c.d. indiretta, in quanto la protezione che ne deriva scaturisce più dal “vincolo di riservatezza”, che permea l’effettivo proprietario di un bene, che non dall’apposizione – sotto il profilo giuridico – di un vero e proprio “vincolo” sul bene in questione. Inoltre, occorre tenere in considerazione il fatto che utilizzando il termine “fiduciaria” – qui di interesse – generalmente ci si riferisce ad una società costituita ai sensi della legge n. 1966/1939 [1] che ha trovato successiva declinazione per il tramite del D.M. del 16 gennaio 1995 [2]. La norma primaria risalente al 1939 e il successivo decreto ministeriale appena richiamato sono ancora oggi punto di riferimento nella disciplina delle società fiduciarie, in particolare di quelle di natura bancaria. In tal senso, fondamentale distinzione attiene all’individuazione dell’attività svolta da una fiduciaria costituita ai sensi della legge n. 1966/1939 rispetto invece ai “fiduciari” operanti in forza di un generico mandato fiduciario (casistica volutamente qui non trattata). Senza pretesa di esaustività, si segnala – con riferimento alle società fiduciarie costituite ai sensi e che operano nell’ambito della legge n. 1966/1939 – che l’attività fiduciaria si è sviluppata in quattro macrocategorie di riferimento, sintetizzabili come segue: attività di carattere tributario. L’Agenzia delle Entrate nelle proprie Risoluzioni 61/E del 2011 e 23/E del 2012 ha svincolato il ruolo della società fiduciaria dalle procedure di regolarizzazione dei patrimoni e delle attività finanziarie detenute all’estero (procedure di “scudo” e di “collaborazione volontaria” [3] nell’ambito delle quali la società fiduciaria ha rivestito un ruolo decisamente rilevante) rendendola utilizzabile anche per altre finalità; attività nell’ambito del c.d. risparmio amministrato. Ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 461/1997 [4], la società fiduciaria può svolgere un importante ruolo nel corretto adempimento dell’obbligo [continua ..]
Delineata l’attività di base, come sintetizzata al punto 2, per le società fiduciarie che operano nell’ambito della predetta legge n. 1966/1939 lo strumento giuridico prevalentemente utilizzato per svolgere l’attività di “amministrazione di beni per conto terzi” è quello del mandato fiduciario [6]. Il mandato fiduciario è un negozio atipico mediante il quale un soggetto (“fiduciante”) trasferisce ad un altro soggetto (“fiduciario”) un diritto o la mera legittimazione al relativo esercizio del diritto, sulla base di un accordo (pactum fiduciae) che vincola le parti, stabilendo modalità, tempi e condizioni di esercizio del diritto e fissando lo scopo che con il negozio si vuole perseguire [7]. Proseguendo nell’attuale configurazione del mandato fiduciario – o meglio nella sua scarsa configurazione, vista la mancanza di un riferimento normativo – occorre considerare che l’Agenzia delle Entrate si è dedicata all’analisi dell’istituto in questione con due diverse Circolari [8]. L’Amministrazione finanziaria ha, infatti, indicato come, in conseguenza della reintroduzione delle imposte di successione e donazione [9], non si possa prescindere dai cc.dd. “vincoli di destinazione” nella valutazione dei possibili conseguenti impatti tributari. Proprio il mandato fiduciario – nella posizione dell’Agenzia delle Entrate qui in commento – si configurerebbe come un negozio giuridico mediante il quale determinati beni vengono destinati esclusivamente alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con un conseguente effetto segregativo e limitativo della disponibilità dei beni in capo al proprietario (i.e. appunto il “vincolo di destinazione”). Si aggiunga – per quanto qui di interesse – che l’effetto segregativo consiste nel far confluire i beni vincolati in un patrimonio separato rispetto al patrimonio del disponente, il quale ne perde quindi la libera disponibilità. Al riguardo, va precisato tuttavia che la confluenza dei beni in un patrimonio separato non è, in ogni caso, funzionale al trasferimento della proprietà dei beni vincolati medesimi a favore di determinati beneficiari. La stessa Amministrazione ha quindi distinto la costituzione di vincoli di [continua ..]
Di particolare interesse, per offrire un quadro completo della visione dell’Amministrazione finanziaria al riguardo della nostra fattispecie, appare la seconda Circolare emessa dall’Agenzia delle Entrate (cfr. la richiamata Circolare, n. 28/E del 27 marzo 2008). In questo documento di prassi, l’Amministrazione si è concentrata sulla descrizione dell’istituto della “fiducia” nelle sue diverse configurazioni cc.dd. (i) “germanistica” e (ii) “romanistica”. La prima accezione di fiducia, a cui si è riferito il legislatore all’art. 1 della legge n. 1966/1939, conduce ad una mera separazione formale tra la proprietà del bene di riferimento, in capo al fiduciante, e la gestione e amministrazione del bene stesso, in capo al fiduciario ove la regolazione dei rapporti tra questi due soggetti è rimessa al patto di fiducia (cfr. supra). Come osservato dall’Agenzia delle Entrate, la fiducia “germanistica” trova applicazione, secondo le ricostruzioni della dottrina maggioritaria, nei casi di gestione di attività finanziarie (i.e. intestazione fiduciaria di azioni e quote di partecipazione), e non anche nei casi di intestazioni immobiliari. Infatti, nella configurazione dell’intestazione fiduciaria degli immobili assumono un ruolo preminente le formalità e le regole che concernono gli adempimenti pubblicitari connessi al trasferimento di beni immobili stessi. I contratti che abbiano ad oggetto la circolazione dei beni immobili devono assumere la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata (a pena di nullità) e la cui pubblicità deve avvenire tramite trascrizione, con conseguente esclusione del modello della fiducia “germanistica” a favore di quella “romanistica”. I beni immobili non godono del principio c.d. del “possesso vale titolo” (art. 1153 c.c.), comportando l’esclusione del modello della fiducia germanistica a favore di quello “romanistico”. In questa seconda accezione, la fiducia (i.e. fiducia “romanistica”) comporta l’effettivo trasferimento sostanziale della proprietà del bene in capo al fiduciario, nulla cambia relativamente alla regolazione dei rapporti interni – tra fiduciante e fiduciario – anche qui regolati dal pactum fiduciae. Volendo riassumere, quindi, da un punto di vista fiscale: [continua ..]
Per quanto di interesse, prescindendo dagli aspetti tributari sopra indicati, esistono due ulteriori punti di attenzione che occorre esaminare nell’approcciare l’intestazione fiduciaria per meglio comprenderne l’essenza e l’applicazione (anche pratica). La segretezza Occorre sottolineare come l’effettiva tutela offerta dallo strumento fiduciario risieda non in azioni a carattere reale, ma nella garanzia di riservatezza circa la titolarità del diritto di proprietà. Trattasi di una garanza non espressamente prevista legge n. 1966/1939, né dal R.D. n. 531/1940 [10], tuttavia, tutta l’attività svolta dal soggetto fiduciario dev’essere improntata alla massima segretezza e riservatezza. La mancanza di questa garanzia renderebbe vano e superfluo il ricorso allo strumento dell’intestazione fiduciaria e, infatti, l’opponibilità del segreto nei confronti di terzi è il cardine (rectius uno dei cardini) degli impegni assunti dal mandatario. Si annota, tuttavia, che il suddetto obbligo di segretezza subisce talune limitazioni: (i) quando il fiduciante, effettivo proprietario, comunica la sua posizione (diritto che può essere concretizzato) oppure (ii) quando la legge impone il superamento del mandato fiduciario (a titolo esemplificativo: norme che riguardano il bilancio d’esercizio delle società, norme tributarie e norme antiriciclaggio) [11]. La trasparenza fiscale A lungo ed erroneamente, si è guardato all’intestazione fiduciaria come a uno strumento per rispondere a esigenze di carattere tributario. Al contrario, occorre segnalare che l’intestazione fiduciaria non costituisce alcuna forma di “deviazione” dall’onere di adempimento dell’obbligazione tributaria: l’intestazione di una partecipazione in via fiduciaria, ad esempio, implica che l’effetivo proprietario rimanga “proprietario del bene” e instauri a sua volta un “rapporto” nei confronti del fiduciario. Il trasferimento di un bene dal fiduciante al fiduciario è fiscalmente irrilevante ai fini tributari (i.e. la proprietà rimane in capo al fiduciante), così come anche il “ri-trasferimento” del bene stesso all’effettivo proprietario. Ove nell’ambito di un mandato fiduciario avente per oggetto partecipazioni sociali [continua ..]
Nell’ultimo decennio si è assistito, nel mondo professionale, ad un progressivo mutamento dell’approccio alla società fiduciaria che opera nell’ambito della legge n. 1966/1939 (i.e. amministrazione di beni per conto terzi) superando il pregiudizio che la vedeva come “mero contenitore” di capitali di “dubbia provenienza”. L’attività di interesse si è allargata per rispondere alle più svariate esigenze, fino a ricomprendere, tra l’altro, a titolo esemplificativo: (i) la riservatezza in merito alla effettiva proprietà di beni (quali, ad esempio, partecipazioni sociali), (ii) il coordinamento di partecipazioni in società differenti detenute dal medesimo soggetto, (iii) una maggiore garanzia nell’attuazione di patti parasociali e (iv) la sostituzione di imposta per talune intestazioni di beni e patrimoni.