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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21306 del 5 luglio 2022, si è espressa sull’onere della prova nella fattispecie di “frode carosello”, ribadendo le caratteristiche dell’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria. In particolare, la Corte ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è necessario in capo al cessionario la consapevolezza o la conoscibilità, usando la diligenza mediamente richiedibile ad un operatore del settore, che l’operazione si inseriva in un’operazione consistente in una frode fiscale, e che “è onere dell’Amministrazione fiscale provare, a fronte di fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, anche per mezzo di praesemptio hominis, che le operazioni stesse nel primo caso non sono state effettuate o, nel secondo (operazioni soggettivamente inesistenti, che ricorrono nella specie), che il contribuente stesso, al momento della cessione, sapeva o avrebbe dovuto sapere dell’evasione operata dal cedente”. Al contrario, come da giurisprudenza richiamata dalla Corte, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria assolva a detto onere, “grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto”.